Con una recente decisione, la Corte di Appello di Roma si è espressa su una controversia avente ad oggetto l’uso di un noto marchio di bevande alcoliche, riconosciuto sia in Italia che all’estero.
Nel caso di specie, ha trovato applicazione l’articolo 22, comma 2, del Codice della Proprietà Industriale (“CPI”) ai sensi del quale vige il divieto di adottare “come ditta, denominazione o ragione sociale, insegna e nome a dominio di un sito usato nell’attività economica o altro segno distintivo di un segno uguale o simile ad un marchio registrato per prodotti o servizi anche non affini, che goda nello Stato di rinomanza se l’uso del segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o dalla rinomanza del marchio o reca pregiudizio agli stessi“. Come noto, tale norma sancisce la tutela c.d. “rafforzata” per tutti quei marchi considerati rinomati.
Il marchio in questione trae origine dal fondatore di una società produttrice di liquori, che ha ampliato la sua attività a livello internazionale dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Questo marchio ha ottenuto una notevole diffusione nel corso degli anni grazie a diverse strategie di promozione, come numerose campagne pubblicitarie, sponsorizzazioni in ambito calcistico e programmi radio ad esso associati. Un ulteriore elemento di successo è stato l’impiego di personaggi famosi come ambasciatori del prodotto provenienti dal mondo dello spettacolo, appartenenti alla televisione, al cinema e al teatro. Ecco che per un segno così noto a livello internazionale la Corte non poteva che prevedere la tutela rafforzata garantita ai marchi rinomati.
Richiamando la giurisprudenza della Corte di legittimità (Cass. Civ., 17 ottobre 2018, n. 26000) e quella comunitaria (CGUE, 18 giugno 2009, C-487/707, Caso L’Oreal v. altri), la Corte ha ricordato che la protezione conferita ai marchi rinomati mira non solo a preservarne la relativa funzione distintiva intrinseca, ma anche a impedire l’indebito vantaggio che i terzi potrebbero trarre dall’utilizzo illecito di tali marchi. Ciò costituirebbe un pregiudizio per la capacità distintiva, la rinomanza e la notorietà di tali segni. Con particolare riferimento alla decisione comunitaria nel caso C-487/707, la Corte specifica che le violazioni soggette alla tutela rafforzata includono:
- il pregiudizio alla caratteristica distintiva del marchio rinomato, definito anche come “diluizione”, che si manifesta quando la capacità di tale marchio di identificare i prodotti o i servizi per cui era stato registrato viene indebolita; nonché
- il pregiudizio alla notorietà, denominato anche “corrosione”, che si verifica quando i prodotti o i servizi per i quali un terzo utilizza un segno identico o simile possono essere percepiti dal pubblico in modo tale da compromettere il potere di attrazione del marchio rinomato.
Per quanto riguarda il concetto di “vantaggio indebitamente tratto dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio” (i.e., parassitismo), la Corte riprende quanto affermato dalla giurisprudenza della Corte di legittimità secondo cui tale fenomeno dovrebbe essere collegato non al danno subito dal marchio, ma al beneficio ottenuto da terzi attraverso l’uso di un segno identico o simile al marchio in oggetto. Questo si verifica quando, per esempio, vi è un trasferimento dell’immagine del marchio o delle caratteristiche da questo proiettate sui prodotti designati dal segno identico o simile che, inevitabilmente, costituirà uno sfruttamento parassitario nella scia del marchio che gode di rinomanza senza che il titolare del marchio successivo abbia dovuto operare sforzi propri in proposito e senza qualsivoglia remunerazione economica atta a compensare lo sforzo commerciale effettuato dal titolare del marchio per crearlo e mantenerne l’immagine.
In conclusione, la Corte ha anche ricordato il fondamentale principio per cui la tutela rafforzata prevista a favore dei marchi rinomati stabilisce una protezione che non richiede la presenza di un rischio di confusione per il pubblico. Nel caso in esame, infatti, la Corte ha considerato sufficiente il semplice pericolo che, da un lato, il marchio successivo contestato potesse trarre vantaggio dalla notorietà del marchio rinomato e, dall’altro lato, che il titolare del marchio noto sul mercato potesse vedere compromessa la capacità del proprio segno di identificare specifiche tradizioni italiane o caratteristiche sociali ad esso associate.
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